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Via al progetto «Tendi la mano»

Marie-Christine Ries, delegata per la pastorale sociale diocesana, fa il punto sull’iniziativa di accoglienza per i migranti


“Magnifici slanci di generosità” sta suscitando nelle comunità cattoliche del Lussemburgo il progetto pastorale “Tendi la mano”. Lanciata ufficialmente il 30 settembre, l’iniziativa mira ad accogliere e accompagnare rifugiati e migranti nella quotidianità del loro inserimento nel Granducato. In pochi giorni tante persone si sono rese disponibili a collaborare. Lo racconta a Sarah Numico, per Sir Europa, Marie-Christine Ries, delegata per la pastorale sociale e parte del gruppo di coordinamento dell’iniziativa; in questi giorni gira “nelle parrocchie per spiegare il progetto, per incoraggiare le persone a diventare creative” nella diaconia. I nuovi arrivi di rifugiati nel mese di settembre sono stati un migliaio.

  • Come vengono gestiti gli arrivi in Lussemburgo?

La prima accoglienza avviene in centri gestiti dalla Croce Rossa o dall’Ufficio per l’accoglienza e l’integrazione. Qui le persone fanno la richiesta d’asilo. La pratica può durare 8-12 mesi, periodo durante il quale non possono lavorare. Ricevono 25 euro al mese gli adulti e 12 i giovani. I pasti vengono serviti nei centri. Spesso sono poi trasferiti nei centri di seconda accoglienza, più piccoli, ma si vive comunque in container; ogni famiglia ha diritto a una camera e spesso non ha una cucina a disposizione. È lì che i volontari diventano attivi e sono presenti. Ad esempio nel centro che c’è a Bertrange, dove vivo, c’è un gruppo che va regolarmente a vedere se ci sono nuovi arrivi, di che cosa queste persone possono aver bisogno: affiancare i genitori nelle riunioni a scuola, invitare alle feste nelle comunità…

  • Quali sono gli ostacoli maggiori?

Il periodo fino al riconoscimento dello statuto di rifugiato è molto faticoso perché le persone non hanno proprio nessuna occupazione durante la giornata. Allora si organizzano corsi e attività di ceramica o di cucina, di lingua o di lavoro a maglia. Poi c’è il problema del lavoro: per le famiglie siriane che hanno una buona formazione l’integrazione è più facile, ma c’è l’ostacolo del riconoscimento dei titoli di studio. È una sfida a cui la legislazione dovrà rispondere nei prossimi anni per poter integrare correttamente queste persone. Grande è il problema degli alloggi ed è per questo che l’arcivescovo ha rivolto l’appello affinché nelle comunità guardiamo dove ci sono case vuote e se c’è la disponibilità di metterle a disposizione per queste famiglie perché possano ritornare responsabili di se stesse.

  • Qualcuno ha già risposto all’appello?

Quattro famiglie si sono messe in contatto con noi in questi pochi giorni per offrire un alloggio.

  • Come stanno reagendo le comunità locali all’avvio del progetto?

Una trentina di persone ha già dato la disponibilità a essere ‘referenti’ nelle singole comunità. Non in tutte le comunità pastorali ci sono centri d’accoglienza, ma nei prossimi mesi in tutte le comunità ci saranno rifugiati che abiteranno nelle case e avranno bisogno di un accompagnamento umano nel quotidiano. Occorrerà andare verso queste persone, aiutarle a uscire e creare dei contatti. Tutto ciò è possibile se si creano dei piccoli gruppi in loco, attorno ai referenti che, nel coordinamento diocesano aiuteranno poi a capire come evolve la situazione.

  • Eppure il Lussemburgo non è nuovo all’immigrazione…

Sì, ci sono parrocchie con una lunga tradizione di accoglienza, altre che cominciano a scoprire adesso tale dimensione. È una gioia per me vedere questa rete che si crea.

  • Esempi?

La comunità dei focolari: sono 4 persone e hanno avviato corsi di francese in casa loro per rifugiati. La comunità di Cristo Re si è resa invece disponibile per andare a servire i pasti nelle comunità di prima accoglienza, per poter avviare così contatti con queste persone. Gli esempi sono tantissimi.

  • Su altri fronti il futuro della Chiesa in Lussemburgo non è scevro di difficoltà…

La recente convenzione con lo Stato ha modificato radicalmente la situazione per cui i Comuni non sosterranno più le spese ordinarie degli edifici ecclesiali, ma saranno le comunità a doversene fare carico. Non ci sono risorse per questo e nelle parrocchie c’è la paura di sapere se la propria chiesa continuerà a funzionare o meno.

Fonte: SIR Servizio Informazione Religiosa, Num. 67 (2303) – Mer 7 ottobre 2015.

 
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